Oltrelasiepe

La grande onda di Kanagawa

28 ago 2021 Tempo di lettura: 3 min

Immagine articolo 1

Per essere grande è grande. Dà il nome all'opera e occupa gran parte dello spazio, attirando su di sè gli occhi di chiunque osservi il dipinto. Eppure tra tutti gli elementi dell’immagine, l’onda non solo non è la protagonista, non occupa nemmeno il secondo posto in ordine di importanza. La pole position è del monte Fuji, situato sullo sfondo, abbracciato dal mare in una cornice vorticosa. In Giappone il Fuji è il simbolo per eccellenza: rappresenta la bellezza, la religione, il territorio, il Paese. Il sipario del mare si apre su di lui, addirittura ne assume la forma: l’onda in primo piano sembra riprodurre il monte, tanto da assomigliare più ad una montagna innevata che alla cima schiumosa di un flutto.

Colpo di scena: in Giappone l’ordine di lettura è da destra verso sinistra. Ecco che allora i primi a comparire nel campo visivo sono i pescatori a bordo delle chiatte. Forse qualcuno non li aveva neppure notati, tanto la grande onda gli ruba la scena. In ogni caso, quanti direbbero con facilità che nel capolavoro di Hokusai ci sono ben trenta persone? Sono loro i secondi protagonisti. E che protagonisti coraggiosi: non stanno fuggendo lontano dal mare burrascoso, ma vanno incontro all'onda. Il quadro narrativo si sdoppia: il mare che si lancia sui vogatori, i vogatori che si lanciano verso il mare. Il tema del doppio ricorre nell’opera: la potenza del mare contro la fragilità dell’uomo, il dinamismo delle onde contrapposto all'imperturbabilità della montagna. Quasi sembra di intravedere nell’opera lo yin e lo yang che si rincorrono. Ma non è un doppio preciso, la percentuale più grande è ancora dell’onda: guardando l’opera, continuo a dimenticarmi della presenza delle barche e delle emozioni dei pescatori, ciò che colpisce subito è la furia, l’energia del mare che si è alzato in piedi ed è pronto a richiudersi sulle chiatte, acchiappandole con delle vere e proprie mani.

Dal punto di vista fisico, un’onda è esattamente ciò che ci aspetteremmo pensando all’esperienza quotidiana: è una perturbazione (e infatti si dice sempre “il mare è agitato”) che trasporta energia e quantità di moto. Energia e movimento sono entrambe due sensazioni che trasudano fortemente dall’opera di Hokusai. Tornando alla fisica, le onde marine sono onde meccaniche, ovvero necessitano di un mezzo per propagarsi. A differenza delle onde elettromagnetiche, in grado di viaggiare anche nel vuoto, le onde del mare hanno bisogno di un supporto in cui viaggiare. Sono onde di gravità: si propagano all’interfaccia di due fluidi di diversa densità, acqua e aria. In particolare l’onda di Hokusai è un’onda di superficie, e se ne può intuire facilmente il motivo.

Le classificazioni semplici finiscono qui: le onde marine non sono nè trasversali, come le onde in una corda, che causano un movimento delle particelle del mezzo in cui si muovono perpendicolare alla velocità di propagazione, nè longitudinali, come le onde sonore, che causano un movimento delle particelle d’aria parallelo alla velocità dell’onda. Le molecole d’acqua piuttosto vengono coinvolte in una traiettoria circolare, dal diametro sempre più piccolo man mano che la profondità del mare aumenta, e oscillano dando vita all’onda. Moto, movimento, traiettoria e velocità: termini ripetuti più volte, eppure in un’onda marina non c’è nulla di tangibile che subisce uno spostamento netto, se non le grandezze fisiche sopra citate. Perciò la prossima volta che guardando all’orizzonte gridate ai vostri amici: “Hey, arriva un’onda!”, tenete a mente che non vi sta raggiungendo nessuna nuova massa d’acqua, semplicemente un po’ di energia, da sfruttare per il successivo bagno insieme.

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